Friday, June 8, 2007

Bush in Italia e la retorica dei comunisti

La visita del Presidente Bush in Italia sarà caratterizzata, anche questa volta, dall’ennesima dimostrazione di come, in certi ambienti, libertà e democrazia abbiano un sapore molto soggettivo. Parte della sinistra italiana scenderà in piazza, insieme all’amalgama dai mille nomi comunemente chiamata no global (che più global di così si muore), per dire “basta alla guerra”. Fantastico: una lezione di democrazia e pacifismo sponsorizzata da violenti e comunisti. Sembra una barzelletta. Soffrono di amnesia e schizofrenia. Dimenticano che gli Stati Uniti sono la nazione che nella libertà ha basato la sua esistenza, ma inneggiano a Cuba e plaudono alla Cina comunista, dove gli oppositori al regime vengono imprigionati, torturati e ammazzati. Nei momenti di massima eccitazione sono pronti a tirare fuori dalla tasca un accendino e dare fuoco a qualche bandiera e se a bruciare poi ce ne fosse una con la stella di David, avrebbero la bava alla bocca come Cujo. Ed ecco che Bush viene paragonato a Hitler. Israele alla Germania nazista, ma tendono a giustificare chi si mette una cintura di tritolo e si fa saltar per aria. E se a morire è qualche ebreo, le comunità virtuali degli aficionados delle osterie modello “sbirro morto” si animano di faccente sorridenti. Dicono “no alla guerra”, ma scompaiono se si parla dell’Iran di Ahmadinejad. Il Darfur? Non sanno cosa sia. Il Venezuela di Chavez? Troppo lontano.
In piazza i paladini della ‘A cerchiata’ sono duri e puri contro questo e contro quello, ma vis-á-vis mettono gli ideali nelle tasche dei pantaloni - e se li calano - quando il comune compra un centro sociale (Venezia docet), paga le bollette e i vizietti con il tanto vituperato denaro pubblico.
Sbraitano, si arrampicano sui tetti con un’agilità che non avranno mai dimostrato in un minuto di educazione fisica alle superiori, creano gli slogan e le rime più variopinte e mostrano un’energia che se impiegassero al lavoro farebbero dell’Italia il paese più produttivo del mondo. Berlusconi ha ragione a dire “mi vergogno” e non è sicuramente il solo ad esserlo. Parliamoci chiaro: nessuno mette in discussione il diritto a manifestare, ci mancherebbe altro. La libertà di espressione e di pensiero sono il succo delle democrazia. Ma queste sono qualcosa di diverso. Sono uno schiaffo alla pazienza e un insulto al senso civico che dovrebbe regnare sovrano nei paesi democratici come il diritto alla libertà di espressione. Quest’ultimo invece, si traduce in questa occasione –e in tutte le altre - in libertà di distruzione. In libertà di limitare la libertà e la sicurezza altrui per il gusto e il bisogno di sfogare istinti repressi. Se così non fosse non ci sarebbe la necessità di chiudere le scuole, di impiegare migliaia di agenti o di pregare i cittadini americani in visita a Roma di cambiare aria e stare lontani dai cortei. Se così non fosse i muri romani rimarrebbero puliti, i cassonetti starebbero al loro posto, le vetrine dei negozi intatte e gli unici ad essere felici sarebbero gli alimentari e i tabaccai, che tra cartine, sigarette, panini e birre svolterebbero la giornata. Ovvio, a pancia piena tutto si fa meglio, anche le manifestazioni.

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